Da anni impegnata con corsi di inglese e tedesco per adulti, quest’anno mi ero decisa a tornare tra i ragazzi rendendomi disponibile per un corso pomeridiano per bambini di 8/9 anni da un lato e, dall’altro, partecipando a un progetto di conversazione per una ‘scuola media’ della mia zona che si sarebbe concluso con qualche ora di CLIL, metodologia a cui ho dedicato di recente mesi di approfondimento.
Un ritorno tra i ragazzi dopo diverso tempo, con una nuova me: anni di esperienza nei più svariati campi della didattica delle lingue, prevalentemente con inglese e tedesco generale per adulti e tanta formazione aziendale, che non avevo intenzione di abbandonare. Volevo semplicemente dare un’altra chance alla mia esperienza con un target di studenti ‘più giovani’, il tutto con rinnovata passione grazie all’aggiornamento professionale in cui mi sono ri-catapultata negli ultimi due anni. Insomma, l’anno scolastico 2019-2020 doveva essere l’anno del rinnovamento e della sperimentazione, e tutto stava andando a gonfie vele.
Fino a venerdì 21 febbraio, giorno della mia ultima lezione in un’aula non virtuale che per me è stata una moderna sala riunioni di un’azienda di Milano centro. La lezione si era aperta con un’inevitabile discussione sulla notizia che da quel giorno avrebbe sconvolto le nostre giornate, anche se ancora nessuno di noi poteva immaginare i risvolti e le dimensioni che questo sconvolgimento avrebbe assunto. Dal lunedì successivo, infatti, chiusura delle scuole e interruzione di qualsiasi tipo di formazione in presenza.
Disorientata come tutti ma carica di voglia di continuare, ho subito cercato di correre ai ripari. Avevo già maturato anni di esperienza con lezioni individuali online; si trattava solo di sperimentare, confrontare e testare nuove piattaforme per gestire i corsi di gruppo. Dovevo farlo nel più breve tempo possibile perché sentivo un’urgenza pressante di proseguire, forse per compensare quel senso di smarrimento e ricucire quello strappo che in tanti abbiamo sentito dentro di noi.
La mia urgenza, tuttavia, si è scontrata in molti casi con la realtà, non trovando ovunque (e comprensibilmente) altrettanta urgenza di riprendere. Tra gli adulti che con me già da tempo avevano scelto la modalità online, diventati improvvisamente smart worker, qualcuno ha proseguito il corso semplicemente collegandosi da casa invece che dall’ufficio. Per i corsi di gruppo aziendali in presenza, invece, sono stati necessari i tempi tecnici per capire come gestire la novità. E, purtroppo, qualche corso non è mai ripartito, compreso il progetto di conversazione e CLIL con i ragazzi delle medie: questo perché la scuola, sotto i colpi della scure dell’emergenza, è stata per lo più costretta a fare slittare in secondo o terzo piano i progetti extracurriculari.
Tra i progetti che hanno avuto bisogno di più tempo per trasferirsi online rientra il corso con il piccolo gruppo di bambini di 8/9 anni per la Trebianum Language School con cui collaboro da anni.
Un mese abbondante di pausa forzata e poi, finalmente, si riparte.
Il contrasto tra i visi sorridenti e così espressivi dei bambini alla prima videolezione, incorniciati nel riquadro dell’anonima griglia di Google Meet, mi aveva fatto stringere il cuore. E insieme alla commozione mi è toccato nascondere quanto fossi tesa per la riuscita stessa della lezione. Avevo programmato e avviato un corso in aula che stava funzionando. Nessun libro, Total Physical Response, ovvero tanto movimento per sfruttare tutti i canali dell’apprendimento e le potenzialità di ogni partecipante, immersione totale nella lingua attraverso l’uso esclusivo dell’inglese e un approccio prevalentemente giocoso per favorire l’interazione, essenziale allo sviluppo delle abilità comunicative. I bambini imparavano divertendosi. Io uscivo da ogni lezione soddisfatta e carica di spunti per fare meglio alla successiva.
E poi il lockdown. Come trasferire tutta la metodologia adottata online? Come far funzionare il corso anche a distanza? Ammetto di avere spinto verso il videocorso – unica possibilità di proseguire – pensando in realtà di essere costretta a rinunciare a buona parte della qualità che sempre mi impegno ad offrire. Avevo dato per scontato, ad esempio, che sarebbe stato impossibile usare solo l’inglese in assenza delle potenzialità offerte da un’aula ‘vera’. Mi ero convinta, infatti, che – pur promettendomi di farlo il meno possibile – avrei avuto bisogno di usare l’italiano di tanto in tanto, oltre a dover rinunciare a tutta una serie di strategie, giochi e materiali, rendendo così la lezione paradossalmente più tradizionale – ovvero ben diversa da quanto programmato.
Oggi, a corso appena concluso, posso confermare le difficoltà incontrate ma, con soddisfazione, posso anche fare diverse constatazioni positive. Fin dai primi minuti per i bambini era scontato che si parlasse solo in inglese e questo perché con Antonella si era parlato così fino alla lezione precedente (o almeno si provava a farlo). Che motivo ci sarebbe stato di fare entrare l’intruso (l’italiano) solo perché dall’aula eravamo passati ad uno schermo? Solo perché ‘più difficile’? La spontaneità dei bambini in questa fascia d’età nel confrontarsi con una lingua straniera mi ha portato a capire che ‘più difficile’ non costitutiva un buon motivo per abbandonare tutta una serie di strategie. Andavano ‘semplicemente’ ri-programmate. Perché i bambini avevano accettato la sfida con me e non sarei stata certo io a forzare il passo indietro.
Come sempre, ho imparato dagli errori. Nei primi due incontri ho cercato di dare un po’ di continuità alle ultime lezioni dopo la lunga pausa. Introdurre nuove strutture è stato poi più complesso e ho letto spesso la stanchezza nei loro occhi: fissare continuamente lo schermo o l’impossibilità di distrarsi un attimo con il compagno di banco possono rendere interminabili i 60 minuti di una sessione a distanza. Lezione dopo lezione, però, proprio i bambini mi hanno insegnato a capire meglio come andare incontro alle nuove esigenze e criticità di un corso in ambiente virtuale. Ho scoperto con loro che il coinvolgimento del corpo e l’uso del movimento in generale, anche se limitato, non è impossibile nemmeno in questa modalità e ha rappresentato una delle chiavi del successo del nostro ‘nuovo’ corso. Ho anche scoperto con sorpresa che lo schermo limita in qualche modo l’esposizione emotiva stimolando e potenziando le abilità di alcuni studenti meno disinvolti nell’aula tradizionale, credo perché percepito come uno scudo protettivo che infonde sicurezza.
Altro spunto di riflessione interessante tra i tanti che questa esperienza mi ha regalato e che mi hanno profondamente arricchito. Proprio per questo voglio ringraziare i miei studenti più piccoli che hanno vinto con me quella che ho vissuto come la sfida professionale più grande di questi mesi così cupi per tutti.